I teatri italiani sono in ginocchio. Erogato finora per i Teatri pubblici solo il 72% del Fus, ma ci sono ancora 258 milioni di euro da distribuire. I teatri più piccoli (non Fus) hanno preso solo 10 mila euro a testa.
L'ATIP (Associazione teatri italiani privati) è un'associazione di categoria nata nell'aprile 2020 per unire i grandi teatri italiani privati e aiutarli a superare la terribile bufera-Covid che si è abbattuta sul mondo dello spettacolo. “Non siamo sull'orlo del precipizio - afferma Geppy Gleijeses - Ci siamo sospesi sopra, appesi a una corda che si sta sfilacciando”.
Gleijeses è presidente e direttore artistico del Teatro Quirino di Roma, come pure della cooperativa Gitiesse Artisti Riuniti, una delle prime imprese di produzione teatrale in Italia. E’ anche responsabile artistico dell’Atip, e in questa ultima veste ha partecipato nei giorni scorsi a un’audizione della VII commissione cultura del Senato.
Com'è la situazione sul fronte dei contributi pubblici?
Il Mibac, Ministero beni e attività culturali, è riuscito a creare due fondi per tamponare la crisi, con una dotazione di circa 700 milioni di euro. Il Fondo emergenza cinema e spettacolo, che ammonta a 435 milioni di euro, e il Fondo imprese e istituzioni culturali. Del primo fondo sono stati spesi 26,8 milioni, erogati a pioggia a favore di circa 2600 soggetti che non ricevono il contributo del Fus, e cioè il Fondo unico per lo spettacolo: hanno preso quindi circa 10 mila euro a testa.
Circa 19 milioni sono andati all'esercizio teatrale, e 5 milioni ai circhi. Il contributo allo spettacolo dal vivo si ferma qui. Circa 229 milioni sono andati al cinema: avanzano quindi 155 milioni.
E il secondo fondo?
Le risorse sono state distribuite così: 42 milioni sono andati alla musica leggera, 30 alle biblioteche, 10 alle librerie, 50 ai musei, 10 ai piccoli editori, 20 alle mostre d’arte e 20 agli enti fieristici, per un totale di 182 milioni di euro. Dalle dotazioni dei due fondi quindi avanzano 258,2 milioni di euro. Chiediamo che questi soldi vengano usati per favorire la ripartenza del settore teatrale italiano.
Il 70% del teatro italiano è prodotto dai privati: sia quelli sovvenzionati dal Fus, sia quelli non sovvenzionati. Le aziende sovvenzionate hanno avuto un’anticipazione del Fus pari al 72%. Ci è stato detto che il saldo totale sarebbe stato erogato subito, invece ora si parla del febbraio 2021.
Come stanno i produttori?
Le 49 maggiori imprese di produzione italiane ricevono dal Fus 215 mila euro all'anno a testa (in media, Gitiesse Artisti Riuniti nel 2019 ha ricevuto 328.599 €, ndr). Le imprese che hanno prodotto spettacoli nel 2019 hanno finora ricevuto il 72% di questa somma. I produttori sono rimasti con allestimenti spesso importanti e costosi fermi in magazzino, senza gli incassi del botteghino, e senza poter ottenere alcun tipo di ristoro aggiuntivo perché c’era il Fus. In pratica le aziende più grandi da una parte hanno incassato finora una quota-parte pari a 150 mila euro, dall'altra hanno perso magari due milioni di fatturato.
E quindi?
Noi non chiediamo elemosine, né contributi a fondo perduto: chiediamo incentivi alla ripartenza, quelli che finora non ci sono stati dati. Un epidemiologo americano dell’università di Harvard ieri si domandava perché fossero stati chiusi per prima cosa teatri e musei, considerando che sono luoghi poco favorevoli al contagio: infatti sono posti dove le persone non parlano tra di loro. Il tax credit è stato concesso solo alla musica leggera e non al teatro. Senza i ristori, gli incentivi alla ripartenza e il tax credit, davvero non sappiamo come fare.
Tutti possono ottenere gli indennizzi?
No. Per accedere ai ristori gli esercizi teatrali devono soddisfare condizioni quasi impossibili per le realtà più piccole: 80 alzate di sipario e 1000 giornate di lavoro retribuite ai lavoratori nell'arco dell’anno. I teatri di provincia, che sono sparsi in tutta Italia, non possono quindi accedere ai ristori perché non hanno questi numeri.
Noi del teatro non siamo un peso per il paese, ma al contrario vogliamo continuare ad essere utili. Se il governo ci coinvolgesse nelle scelte che riguardano il settore, forse sarebbe tutto più semplice. Perché questi soldi avanzati non vengono spesi per le imprese di produzione?
Quanto incidono i soldi Fus nei bilanci di un teatro o di un produttore?
In media le imprese di produzione beneficiarie dei fondi Fus ricevono 215 mila euro ciascuna: ma non possono bastare a sostituire il lavoro di un anno, soprattutto se si cerca di fare prodotti di qualità. Nel 2019 noi della Gitiesse abbiamo prodotto 10 spettacoli con la regia di Andrej Končalovskij, Liliana Cavani, Pier Luigi Pizzi, Eugenio Barba: quest’ultimo è una delle figure di maggiore spicco nel teatro contemporaneo, a livello mondiale.
Io ho diretto Arsenico e vecchi merletti, con Giulia Lazzarini e Annamaria Guarnieri, e Processo a Gesù. Abbiamo appena finito di provare Servo di scena, con Lucia Poli e Maurizio Micheli, e la regia di Guglielmo Ferro.
Produzioni sicuramente molto costose
Esatto. La spesa è stata ingente: è chiaro che nella stagione 2019/2020 avremmo dovuto cercare di ammortizzare i costi. Ma se mi devo fermare a febbraio che cosa posso recuperare io, che ho un fatturato medio di 3 milioni di euro? Cosa soddisfo con 200 mila euro a fondo perduto? Che faccio se ho perso due milioni e mezzo di fatturato? Per una grande impresa 200 mila euro sono una goccia nel mare.
Cosa serve, allora?
Bisogna cercare di far ripartire il sistema, servono incentivi alla ripartenza: vogliamo dare lavoro a macchinisti, direttori di scena, costumisti, attori e a tutte le altre professionalità.
Nell’Atip ci sono i grandi teatri e i grandi produttori: la serie A. Ma i piccoli teatri sono migliaia. Che fate per loro?
Come regola ci siamo dati un limite di 500 posti a sedere per entrare nell’Atip. Sotto questa capienza non accettiamo candidature. I teatri che vogliono entrare e che soddisfano questo requisito sono comunque tanti: il numero dei soci Atip cresce quotidianamente. Hanno capito che combattiamo per loro: l’Agis è troppo compiacente nei confronti del potere.
E in pratica?
L’iniziativa che è stata presa dal ministero di erogare ristori per lo spettacolo ha portato nelle casse di alcuni teatri somme anche importanti: ne hanno beneficiato sia i grandi teatri che fanno parte dell’Atip, sia quelli piccoli che non ne fanno parte. E credo che questo sia merito anche dell’Atip.
Che falle ci sono attualmente nella distribuzione delle risorse?
La falla sta in quello che riguarda le imprese di produzione: sia quelle sovvenzionate dal Fus, sia quelle non sovvenzionate. Come detto prima, 26 milioni di euro sono stati distribuiti a 2.600 soggetti che di norma non ricevono i contributi del Fus, perché sono troppo piccoli e non hanno i requisiti (e cioè 80 alzate di sipario in un anno e 1000 giornate contributive per i dipendenti): sono circa 10 mila euro a testa.
E quelle che ricevono i soldi Fus?
Nulla. Le aziende sovvenzionate dal Fus non hanno preso niente da questi 26 milioni: hanno ricevuto solo parte della sovvenzione Fus prevista per il 2019, anche se non potevano lavorare. Gli obblighi aziendali, però, li abbiamo ugualmente: dobbiamo custodire e fare la manutenzione alle scenografie, pagare l’affitto dei magazzini, le utenze, i contratti. Anche se non lavoriamo, non possiamo fermare completamente le macchine.
Si parla di un accordo con la Rai. Chi sceglierà gli spettacoli da mandare in onda?
Non c’è alcun accordo dell’Atip con la Rai, quindi non si pone il problema di scegliere gli spettacoli. Può darsi che alcune case di produzione abbiano fatto accordi individuali con la Rai, e quindi proporranno i loro spettacoli: ma l’Atip non c’entra.
Il futuro del teatro è lo streaming?
Il teatro in televisione potrebbe anche andare bene, ma non tutto il teatro è adatto per la televisione. Vanno bene operazioni come quelle di Paolo Sorrentino oppure quelle di Ronconi: quelli sono esempi virtuosi di come si può usare la telecamera in teatro. Ma se fai una piatta ripresa a telecamera fissa, è un obbrobrio. Io dico che è una quarta parete bucata dalla telecamera.
Il teatro è magia dal vivo. Se porto il teatro in tv, ci vogliono un approccio e un supporto diversi: sono operazioni che hanno dei costi. Lo streaming funziona quando offri un prodotto adeguato. Come si può pensare di competere con Netflix usando una telecamera fissa?